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martedì 3 aprile 2018

Il 3 aprile

Un giorno come oggi, uno dei diciassette “3 aprile” che ho visto trascorrere nella mia vita. Oserei però dire che questo 3 aprile é stato un giorno un po’ speciale, uno di quelli che ti segni sul calendario, uno di quelli che aspetti da tanto tempo, uno di quelli che quando arriva ti stampa un sorriso sulle labbra che più niente o nessuno potrà cancellare. 
Il 3 aprile del 2017 è stato proprio così.
Aspettato con ansia senza saper esattamente quando e se sarebbe arrivato, ha segnato in modo indelebile la vita di una ragazzina di sedici anni che stava seduta sul sedile di un autobus con i suoi compagni di classe per iniziare quella che sarebbe stata la gita più bella mai fatta prima. La ragazza sente squillare il telefono sul cui schermo appare la scritta “mamma”; sbuffa un po’, pensando che la madre la stia chiamando per sapere come va il viaggio da poco iniziato, ma qualcosa desta la sua curiosità: quando risponde al cellulare pensa “perché semplicemente non mi ha scritto un messaggio?!” e nel mentre sente uno strano tono provenire dalla voce della madre, come se qualcosa di apparentemente grave fosse successo... 
  • “Hai già guardato la mail?” le dice la madre
  • “No” risponde la figlia
  • “Guardala.” Conclude la madre.
Un silenzio assordante incombe nella conversazione, mentre la ragazzina agitata cerca di aprire la posta elettronica. Si carica la pagina e spunta  il titolo della nuova mail “Intercultura - passaggio a Vincitore”. Ancora prima di aprirla la ragazza ha già capito: lancia un urlo e si alza saltando dal sedile per gridare al mondo che ha vinto il programma annuale di scambio in Argentina mentre la madre, di sottofondo, le dice “non dirlo subito ai tuoi compagn....”. Ma la notizia è già stata annunciata, ritorna a parlare al telefono e la madre ridendo le dice che è felice e che finalmente ce l’ha fatta, che ha vinto. 

Ebbene, quella ragazzina di 16 anni ero io, esattamente un anno fa, inconscia di tutto ciò che avrei di lì a poco scoperto, vissuto, imparato e amato. Inconscia del fatto che la vita mi stesse donando la cosa più preziosa: un nuovo libro da scrivere con l’inchiostro dei miei desideri.

martedì 27 febbraio 2018

Un 25 gennaio d'estate


Il 25 gennaio del 2001 è la data in cui, alle 00:50, sono nata io. 3,030 kg di bambina avevano fatto sì che mio fratello Manuel aspettasse quasi sette ore in ospedale. Il mio adorabile fratellone, allora sedicenne, aveva da poco comperato una videocamera, così, per l’occasione, quelle sette ore furono sfruttate appieno per poterne studiare tutte le possibili funzioni. È per questo che su svariati video dei miei primi minuti di vita appaiono scritte come “Sorridi” che per una bella coincidenza della vita è il verbo che secondo molte persone mi caratterizza, frutto, forse, della decisione dei miei genitori di chiamarmi “Gaia”. Questo mi fa considerare i miei genitori e mio fratello dei veggenti; oppure pensare che quando ho aperto i miei occhietti, prendendo atto della situazione, ho valutato che potesse essere un bel pensiero da parte mia rallegrare i loro animi e rispettare le loro aspettative!
Ebbene sì: dai 3,030 kg che ero sono cresciuta e diventata i xx kg che non dirò per colpa dell’intercambio che mi ha fatto scoprire nuove prelibatezze che sono solite deliziare il mio palato… Perché, diciamolo: chi potrebbe resistere alle succulente empanadas, al gustoso asado e all’ipercalorico dulce de leche? Per non parlare poi delle tortas fritas tipiche delle giornate uggiose, delle chippa paraguaye e del buonissimo budin de pan inventato per riutilizzare il pane vecchio!
Bene, dopo questo breve excursus  sulle prelibatezze locali, torniamo a parlare del curioso giorno in cui mia madre ha deciso di regalare al mondo una mina vagante. Nella mia tuttavia breve vita ho passato esattamente diciassette 25 gennaio, sedici dei quali in inverno.
Il 25 gennaio 2018 è stato però un “pochino” differente.
Partendo dalla notte tra il 24 e il 25 gennaio, vi posso raccontare di come quattro ragazzi si siano ritrovati a condividere una serata non del tutto pianificata. Il 24, nel tardo pomeriggio, Pia, la ragazza tedesca, Ale, l’italiana, Paula, l’unica argentina, ed io stavamo condividendo un’ottima merenda nel panificio “El principito” quando mi arriva il messaggio di mamma Norma che mi chiede se voglio rientrare per andare alla cena organizzata con il classico gruppo di amici con cui siamo solite passare le domeniche o se preferisco cenare con i ragazzi. Io le rispondo che, purtroppo, siamo arrivate nel locale da poco e che se per lei non era un problema mi sarei fermata con le ragazze. Appena terminati i bizcochitos e il milkshake condiviso con Pia, mi arriva un messaggio di Carlos, un amico argentino, che mi dice che è sotto casa mia. Un secondo dopo mia madre mi manda una foto di lei e lui con scritto “Viene via con me!”. Con le ragazze usciamo dal negozio e a piedi, in dieci minuti, siamo a casa. Là un’amica passa a prendere mamma Norma che, lasciandoci soli, dà inizio a quella che sarebbe diventata un’improvvisata festicciola con i miei migliori amici. A mezzanotte in punto, dopo aver fatto scomparire dal frigorifero una considerevole quantità di hamburger, da un cellulare esplode la musica di felice compleanno con il favoloso coro composto da Carlos, Paula ed Ale che a squarciagola cantano “feliz cumpleanos!”.
Altro cellulare che suona; questa volta è il mio che mi avvisa nella chat privata di mamma Norma che alla cena con amici tutti mi auguravano felice compleanno con una torta preparata a sorpresa da una volontaria di AFS. Considerata la mia assenza, l’avrebbero comunque mangiata, seppur lasciandomene una porzione da assaporare l’indomani.
Così è incominciato il mio diciassettesimo compleanno: facendomi sentire in compagnia delle migliori persone che avrei potuto desiderare.
Alle 10.30 di giovedì mattina una banda di dieci persone tra exchange students, i loro fratelli ed altri amici, si è presentata sotto il portone di casa mia. Come tutto era stato organizzato, siamo saliti in macchina e ci siamo diretti alla “quinta”, una casa con piscina prestataci da amici. È proprio in questa che casa inizia il miglior compleanno che io abbia mai avuto: un compleanno pieno di colori, musica e amici preziosi conosciuti appena cinque mesi prima che hanno saputo farsi amare come non ho mai amato nessuno.
Finito il book di foto scattate sotto al manifesto di “feliz cumpleanos” ci siamo lanciati in piscina e lì siamo rimasti fino all’ora di pranzo che, tre ore dopo, incombeva con dei fantastici choripanes cucinati alla parrilla (griglia).
Arrivato il momento della torta, mamma Norma ci ha fatto segno di uscire dalla piscina; aveva in testa un cappello sbrilluccicoso e al collo una collana hawaiana. Guardando il tavolo con le torte, mi sono accorta che c’era una cassa piena di cotillons; velocemente ci siamo tutti lanciati verso lo scatolone, cercando di aggiudicarci i travestimenti migliori. Così sono iniziati i balli a base di cumbia, raggaeton e canzoni di carnevale, accompagnati da qualche fetta di torta proveniente dai tre dessert accuratamente posizionati sopra al tavolo.
La festa è continuata fino a sera e alle otto ciascuno si è poi diretto verso casa. Ci stavamo separando non perché fosse finita la festa, ma perché necessitavamo di dormire e prepararci per la serata in discoteca!  Così, all’1:15 di mattina, ci siamo ritrovati alle porte di Puerto Juarez per far ricominciare una notte che non era ancora finita.
Stanchi, ma felici di aver ballato tanto, alle 4:30 tornavamo a casa dove mi stava aspettando un pigiama party con Ale e Abi, una mia compagna di classe.
Il 25 gennaio 2018 non sarà stato di certo il mio primo compleanno, ma vi posso assicurare che lo porterò con me per sempre perché è stato il primo della mia nuova vita in Argentina, una vita che, passo dopo passo, sta diventando quella che ho sempre desiderato…
Un grazie a tutti per aver voluto accompagnarmi nel ricordo di questo giorno speciale,
Gaia





lunedì 15 gennaio 2018

5 stravaganze argentine

Sono in macchina in compagnia della mia famiglia e di un'amica di mamma; stiamo tornando a casa dopo 18 giorni di vacanza passati in Uruguay. 
Le ore di strada per arrivare a Concordia sono circa sei; ho quindi molto tempo libero da passare seduta sul mio sedile in compagnia di Barbie, la pincher della casa, e delle voci dei miei compagni di viaggio di cui, dal fondo dell'auto, non vedo i volti. Dopo che tre ore sono passate ho bisogno di trovare un passatempo differente ed è così che, ripensando un po' a tutto ciò che ho vissuto fino ad ora, mi vengono in mente alcuni frammenti della cultura argentina dei quali tuttavia non vi ho ancora parlato. Pensando che possa venir fuori un post interessante inizio a scrivere le poche righe che fino ad ora avete letto.
Ed è così che adesso, in vostra compagnia, miei lettori, vi racconto alcune curiose usanze e contraddizioni di questo immenso paese.

Punto 1: le scarpe.
Camminando tra le case della mia nuova città, un po' impaurita ed un po' incuriosita, guardavo spesso il pavimento delle strade che percorrevo, forse per paura di inciampare o forse per timidezza, non ricordo. 
Ciò che però mi ricordo con sicurezza è che fin dai primi giorni la cosa che più mi aveva sorpresa erano le scarpe indossate dalle ragazze. Vere e proprie acrobate, si dilettavano nel camminare su trampoli dai più diversi colori e decorazioni tra le vie della città. Stupita, mi ritrovavo a pensare a come facessero a usare simili orrori perché, per quanta volontà uno ci mettesse, definire "eleganti" simili calzature era difficile. Eppure, agili come gazzelle, le ragazze e le donne concordiensi le usavano inarrestabili durante il giorno e durante le uscite notturne. 
Una volta chiesi alla mia prima sorella perché per andare in discoteca non usassero scarpe più femminili, magari con un tacco sottile; lei, senza esitazioni, mi ha risposto che solo una donna che si vuole male userebbe simili macchine da tortura e da figure poco gradevoli dato l'alto tasso di cadute che provocano. 
Ed effettivamente aveva ragione. Se ci pensiamo bene, le classiche scarpe da capogiro usate dalle donne italiane sono autentici pericoli. Per poterle indossare dobbiamo essere psicologicamente pronte a misurare la distanza tra i gradini di una gradinata, a fissare il pavimento per evitare eventuali buche e sassolini, a mantenere i fianchi in baricentro e
se per di più ci metti in mezzo un tombino dove il tuo elegantissimo tacchetto si incastra è la fine.
Così ho capito che le donne argentine l'hanno capita giusta di gran lunga più di noi italiane che, mi comprendo nel gruppo, continuiamo ad usare i tacchi a spillo.
Chissà se magari un giorno anch'io inizierò ad usare giorno e notte i trampoli argentini!




Punto 2: il remis e la cintura di sicurezza.
Il remis é il simpatico taxi concordiense molto economico e facile da raggiungere. Non lo si identifica per il colore giallo tipico di New York e nemmeno per quello nero di Londra, bensì per un'insegna luminosa che dice "remis libre/ocupado" presente nel finestrino frontale dell'auto. Ci sono diverse agenzie di remises in Concordia e quasi tutte hanno messo a disposizione il servizio whatsapp per i clienti. Così chiunque abbia bisogno di essere rapidamente trasportato da un punto all'altro della città non deve far altro che inviare un messaggino alla casa di remises o chiamare direttamente al numero fisso. Grazie alla grande quantità di remises e alla relativa grandezza della città, generalmente il tuo autista personale appare in cinque minuti e ti aspetta sotto casa. 
Ovvio che però non devi avere molte pretese perché potrebbe arrivarti un'auto arrugginita o da museo, magari con qualche finestrino rotto e fissato alla portiera con dello scotch; a volte senza cinture di sicurezza.
La cosa che però sicuramente non mancherà sarà il gradevole avviso di obbligo dell'utilizzo delle cinture che tu, speranzoso di incontrare, continuerai a cercare finché dopo svariati minuti non sarai già arrivato a destinazione.




Punto 3: las cuadras.
Una genialata degli argentini è l'utilizzo delle cuadras (o manzanas) come formazione dei quartieri. Ciascun quartiere è formato da una quantità più o meno numerosa di queste ultime che sono ordinatamente regolate a forma di quadrati. Ogni quadrato è circondato da quattro differenti strade: due orizzontali e due verticali. Ciascuna strada di entrambe le coppie corre in senso opposto all'altra. 
In questo modo è molto più facile orientarsi e dare informazioni in quanto si parla di numero di "cuadras" e risulta più semplice capire il senso di marcia di ciascuna via. 
Per esempio per raggiungere un luogo non devi prendere in considerazione una grande quantità di punti di riferimento come possono essere semafori, negozi ecc; semplicemente devi contare tot quadre poi girare a destra o a sinistra e superarne un altro tot e arrivi senza tanto rischiare di perderti!




Punto 4: whatsapp.
Le compagnie telefoniche argentine sono andate incontro alle necessità dei clienti proponendo loro di pagare almeno 50 pesos (€2.50) ogni mese per avere 30 giorni di whatsapp gratis e uno/due "numeri amici" che puoi chiamare senza alcun limite. Quando termini il credito non puoi più chiamare numeri che non siano quelli amici e navigare in internet se non su whatsapp. Così per i poveri exchange students che sono internazionalmente riconosciuti come "privi di grandi quantità di denaro perché controllati dalle famiglie" il problema ricarica telefonica non esiste più perché, per chi è come me, si spendono non più di €12.50 di ricarica telefonica in cinque mesi!

Punto 5: le birre e le bibite.
Un'abitudine utile sulla quale si potrebbe riflettere a lungo è quella di restituire le bottiglie di birra vuote e di riusare quelle di plastica delle bibite. 
Quando, dopo un considerevole numero di freschissime birre, ci ritroviamo con il cestino del vetro pieno di bottiglie, non possiamo far altro che aspettare il giorno in cui gli spazzini passano a raccogliere la pattumiera. 
In questa maniera alcune persone "impazienti", se così vogliamo chiamarle, hanno la fantastica usanza di tirare i loro sacchi di spazzatura per strada o nei bidoni altrui. In Argentina é però stata adottata la regola di restituire le bottiglie di vetro al proprio kiosco di fiducia (negozietto presente in ciascuna via) che amorevolmente ti ricompensa con una piccola quantità di denaro, così da incentivare il riciclo del vetro che viene restituito alle case di birra. 
Per quanto riguarda le bibite, le bottiglie di plastica vengono prodotte con una plastica più grossa e di qualità così da permettere alle persone di andare nel kiosco a riempire nuovamente la propria bottiglia invece di comprarne una nuova. Al riempire una bottiglia vecchia viene applicato uno sconto che in caso di acquisto di una nuova si trasforma in sovraccosto.
Una semplice idea che sarebbe bello poter applicare anche nel nostro paese!


Ci sarebbero molte altre cose da raccontarvi, ma non voglio annoiarvi troppo, cosicché vi saluto ora e vi lascio in attesa di un futuro post pieno di nuove interessanti curiosità! A presto,
Gaia

martedì 2 gennaio 2018

un capodanno senza lenticchie

Sin da quando ero piccola ero solita passare l'ultimo dell'anno con la mia famiglia. Il momento più atteso della serata era l'attimo in cui l'orologio toccava la mezzanotte, la tv accesa esplodeva musica, le grida annunciavano festeggiamenti. Si alzavano i calici di prosecco spumeggiante e si brindava ad un nuovo anno migliore. "Cin cin" erano le parole che risuonavano nella sala accompagnate da sguardi che si incrociavano al loro ritmo. Aspettavo ansiosa che la scatola di cartone, contenente il cotechino, venisse riposta sul tavolo della cucina dopo che mia madre ne avesse rivelato il nascondiglio.
Aprivo rapida la scatola e tutte le aspettative di trovare un cotechino gigante svanivano regolarmente, come ogni anno, dopo aver visto le reali dimensioni: se bastava per tre persone eravamo fortunati. Iniziava così la "spartizione" del cotechino tagliato in tanti piccole porzioni accompagnato dall'immancabile piattino di sublimi lenticchie preparate da mio fratello. 
Col passare degli anni i festeggiamenti dell'ultima notte dell'anno iniziarono ad essere condivisi con delle mie amiche, oltre che con i membri principali della famiglia. Così i momenti tanto attesi del cotechino e delle lenticchie si convertivano in brevi e rapidi minuti sostituiti presto dalla discesa in giardino per lanciare i fuochi d'artificio in compagnia delle mie amiche. Appassionate tutte di Harry Potter,  i fuochi artificiali diventavano facilmente scenario di battaglie di magia. 
Arrivata ai 14 anni il "capodanno in famiglia" si è trasformato in una serata da passare con amici in qualche festa privata per poi terminare con mia madre che mi veniva a prendere o con me che andavo a dormire a casa della mia migliore amica. 
Ebbene dopo queste tre diverse tappe succedutasi in un arco di tempo di 15 anni, nel capodanno dei miei 16 anni è arrivata una nuova "tappa", quella del capodanno senza lenticchie, senza battaglie di magia e senza feste in locali privati: la tappa del mio primo capodanno in Argentina.
Il 31 dicembre del 2017 si stava piano piano concludendo con me e la mia famiglia a casa di amici di Piriapolis, un gioiellino turistico dell'Uruguay. Però, abituata allo sfarzo dei vestiti di capodanno adornati con orecchini, braccialetti e un trucco considerevole, l'ultimo giorno del 2017 non mi faceva sentire la classica atmosfera del capodanno, dato che alle 20:30 di sera continuavamo ad indossare abituali vestiti da passeggio. La situazione è però cambiata quando un'ora dopo mia sorella ospitante ha proposto un cambiamento di outfit più elegante per la serata. Alle 22:00 eravamo tutti eleganti, anche se non eccessivamente, e pronti per festeggiare un ultimo dell'anno coi fiocchi. Allo scoccare della mezzanotte, dopo aver mangiato un'ottima frittura di pesce, sono stata travolta dall'abbraccio di mia mamma ospitante che con un caloroso sorriso mi ha augurato un felice anno nuovo. Non potrò mai dimenticare che il suo fu il primo abbraccio che fece iniziare la mia esperienza in Argentina appena scesa dall'autobus che mi lasciò a Concordia. Con la stessa forza è iniziato il 2018 e a seguire gli abbracci di tutti gli altri hanno contribuito a rendere speciale quello che era cominciato come un tranquillo giorno d'estate. Così, terminato di mangiare le dodici uvette che da tradizione fanno avverare i desideri, ci siamo recati di corsa sul tetto della casa per ammirare l'immenso spettacolo di fuochi d'artificio lanciati sul cielo di Piriapolis nell'ultima notte del 2017. 
L'1 gennaio del 2018 iniziava con sei desideri impressi a penna in foglietti di carta lanciati tra le onde dell'oceano Atlantico: tradizioni di un mondo che mai avrei pensato di conoscere...


mercoledì 27 dicembre 2017

Un Natale differente

Mi è sempre piaciuto il Natale, l’atmosfera che esso genera, il profumo di zucchero che domina nell’aria, le luci, la copertina sul divano, i calzettoni di lana, l’albero con i regali, le vie della città addobbate, il respiro di ciascuno che si trasforma in una nuvoletta all’aria fredda dell’inverno. 
La sensazione di tranquillità e serenità che il Natale trasmette è ciò che lo rende la festa da me più attesa. Si sospende la routine dei giorni di scuola, si interrompono la maggior parte delle consuete attività e ci si dedica alla famiglia, agli amici.
Il semplice atto di fare l’albero è una ricorrenza che permette di sospendere le possibili tensioni e di prendersi un po’ di tempo per fare qualcosa con la famiglia, lavorando insieme per aggiungere bellezza a questa festa…

25 Dicembre 2017: Natale in Argentina.
Natale per me è tutto ciò che ho appena elencato, è tutto ciò che ho sempre pensato sarebbe rimasto invariato, è tutto ciò che non ho mai pensato di passare con 35° all’altro capo del Mondo. 
Ebbene sì, nel 2017, a 16 anni, ho scoperto che il Natale può essere tutto e niente di quello che ho vissuto nei miei precedenti 15 anni di vita.
I giorni di dicembre passano e camminando per la città mi chiedo “Dove sono gli addobbi e le luci di Natale?”. Mi rispondo da sola con un semplice e diretto “in questi giorni sicuramente li metteranno”. Però no, il 25 dicembre si avvicina e le luci ancora non sono comparse. 
Una sera passeggiando in una delle piazze mi accorgo sorpresa di poche lucette poste attorno al tronco di alcuni alberi. Felice urlo “hanno addobbato la piazza!”. Solo dopo mi rendo conto che guardando meglio i tronchi decorati sono solo quattro e che le luci si arrotolano informi per solo un quinto dell’intero fusto. Sempre meglio che niente, no?.
Ebbene, alla fin fine il 25 dicembre del 2017 la piccola città di Concordia conta di quattro fusti decorati, un albero di luci natalizie posto di fronte all’auditorium e reciso nella punta - motivo per cui più somigliante a un tronco di cono - e alberelli di carta attaccati ai pali della luce di via las Heras. 
Però casa Bignotti-Diaz, si distingue per una cosa: la presenza di un’italiana amante del Natale. 
Ed è così che il 25 dicembre del 2017 la mia famiglia ospitante si è ritrovata a vivere in quella che potrebbe sembrare l'autentica casa di Papà Noel: fili di luci di Natale dai colori più sgargianti illuminano a giorno il salotto, una lampada a sfera proietta luci colorate sul soffitto della sala, palline di spago artigianalmente prodotte dalla sottoscritta e da un’atra italiana brillano sul tavolo e sulla parete grazie alle luci riposte al loro interno. L’unica “pecca” è  l’alberello di Natale alto 60 cm e posto sopra ad un mobile, cosa che dopotutto con un po’ di impegno si può  accettare.
Il giorno della vigilia di Natale del 2017 però sta passando in maniera un po’ monotona, con la sola voce di Raffaella Carrà che risuona a tutto volume nella sala mentre l’italiana della casa cerca di coinvolgere la mamma argentina a cantarne le canzoni. La monotonia della giornata  abbandona  casa Bignotti-Diaz quando alle otto e mezza di sera fa il suo ingresso Agostina, mia sorella ospitante, con il suo ragazzo e chiede alla mamma “c’è un posto in più per Andres stasera?”. 
Per una simpatica casualità della vita il fidanzato di Agostina si chiama esattamente Andres, che però non è l’unico della famiglia a portare questo nome. Dalla porta entra Andres 2, il figlio di mamma nonché il mio fratello ospitante che manca da casa da quattro mesi. Mamma Norma salta sulla sedia e lancia un grido correndo ad abbracciare il figlio. Mai vista donna più felice! 
Ed è così che la vigilia di Natale la passo ridendo e scherzando con quella che è diventata la mia nuova famiglia nel portico di una casa di periferia, immersa nell’aria fresca di una notte d’estate argentina del 25 dicembre 2017.

                                      Nessun testo alternativo automatico disponibile.

giovedì 5 ottobre 2017

Changes

É moltissimo tempo che non scrivo un post e adesso credo sia arrivato il momento di scriverne un'altro.

Credo che alcuni di voi abbiano già saputo che ho cambiato famiglia nello scorso weekend. 

Non ne racconterò i motivi perché è giusto che rimangano privati, ma ci tengo a ringraziare di cuore la mia prima famiglia. Per quanto possa non essere stato facile questo mio primo periodo di intercambio in Argentina credo che niente al mondo potrà eguagliare ciò che esso mi ha insegnato. In una quarantina di giorni ho imparato moltissime cose - e con imparato non intendo dire che ho appreso manualmente a fare qualcosa, intendo dire che ho imparato a conoscere. A conoscere una nuova realtà, nuove abitudini, una nuova cultura, a conoscere il vero significato della parola amore e di come esso si può manifestare. Ho imparato a pensare con razionalità prima di agire, ad uscire dalla concezione che mi imponeva di compiangermi per ogni più piccola complicazione, a rendermi finalmente conto di che cosa significa la parola "problema" e di che cosa significa la parola "difficoltà", a conoscere la differenza tra "grave" e "risolvibile". Ho imparato ad affrontare le situazioni e a non scappare appena si presenta un ostacolo. Ho imparato ad analizzare le circostanze e a impormi di risolverle. Ho imparato a darmi tempo e a non pensare di non potercela fare. Ho compreso che cosa significa "povertà" e quanto mi sbagliassi a lamentarmi di ciò che ho.

Ho appreso cosa significa veramente essere autonomi e responsabili. Ho appreso a far tesoro di ogni situazione. Ho imparato ad apprezzare quello che ero solita disprezzare e a soffermarmi sul vero significato di ciò che mi circonda, a capire che a volte i più piccoli ne sanno di gran lunga più degli adulti e che la loro maturità può essere sconcertante. 

Ho imparato ad amare, ad amare le persone, le strade, i luoghi, gli oggetti, la pioggia e il sole, ad amare il semplice gesto di un bambino che con un sorrisone ti regala due bracciali con scritto "tu sonrisa me hace feliz" e "te amo mucho".

Ho capito che in molti tengono alla mia felicità e che, anche se mi conoscono da poco tempo, loro ci sono sempre per dare un consiglio, per aiutare o anche solo per ascoltare. Ho capito il vero significato di "amicizia" e di "fiducia", di "gentilezza" e "sincerità" e di quanto poco importino gli anni che separano le persone.

Quindi non posso fare altro che ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile tutto ciò. Perché di imparare non si finisce mai, ma per iniziare si ha sempre bisogno di un trampolino di lancio.

Gracias familia Ramos, gracias gente argentina... Gracias Argentina.




giovedì 31 agosto 2017

Aneddoti

Lunedì 28/08/2017

Aneddoto 1:
Giusto ieri la mia famiglia ed io eravamo riuniti con gli altri familiari nella casa della zia Maria per mangiare, come da tradizione, l'asado domenicale (carne di mucca assolutamente favolosa cucinata alla brace). Insieme all'asado era presente nel vassoio un mezzo chorizo che mi guardava con aria disperata in attesa di ricongiungersi con la sua dolce metà. Ed ecco che la sua dolce metà (io) lo ha accolto nel piatto e ha preso un pezzo di pane per far sì che esso si potesse mettere comodo. Posato il chorizo sul pane ho preso forchetta e coltello per dividere, che sadica, il tutto in due bocconi più piccoli. Siomara e la cugina Carina subito hanno iniziato a ridere e dopo essersi riprese mi hanno spiegato che: "tu debes tomar el pan y cortarlo a la midad, poner entre pan el charizo con un poco de mayonesa, cerrar el pan y comer el choripan!!". Che in breve significa che si deve mangiare il charizo come fosse un hotdog con maionese e non tagliarlo come fosse posato sul pane della pizza! Fu decisamente esilarante vedere come si è aperto il dibattito tra loro che mi spiegavano in spagnolo e io che tentavo di far capire loro in spagnolo come ero abituata a mangiarlo. 
Qui ne avete un piccolo "assaggio"




Il secondo episodio che oggi vi racconto è alquanto imbarazzante: 
Siomara ed io stavamo camminando per il centro della città quando ad un certo punto abbiamo svoltato e siamo entrate in un negozio di articoli di elettronica. Abbiamo comprato una nuova sim per il mio cellulare e dopo aver scambiato qualche parola con la commessa l'abbiamo salutata. Siomara ha detto "gracias, buenas tarde" e io, pensando a che cosa dire di differente, ho detto "muchas gracias, buenas noches!". In Italia si dice buona serata, no? Allora è giusto, ma perché sono scoppiate a ridere? Il motivo è che "buenas noches" in spagnolo significa "buonanotte" e non "buona serata". Quindi ecco che alle cinque di pomeriggio avevo augurato alla commessa di fare una buona dormita!

Terzo aneddoto: 
Attraversando la strada cercando di non farsi investire dalla calca di macchine e persone (non esistono le strisce pedonali), questa mattina mi sono rivolta a Siomara per chiederle che tipo di pantaloni dovessero usare i ragazzi da regolamento non avendo loro una precisa uniforme. L'unico problema è che al posto di dire "pantalon" ho detto "trasero" sperando che fosse corretto in quanto somigliante alla parola inglese "trousers". Però, questa esilarante storia si è conclusa con me che ho appreso che "trasero" significa sedere. 
#figuronedaexchangestudent

E niente, queste sono le migliori ma sono state accompagnate da tante tante altre!